Le comunità arbëresh, discenti dei profughi albanesi che, nel 1400, per sfuggire all’invasione turca dell’Albania, ripararono in Calabria, nonostante i secoli di accoglienza e di spirito di integrazione da parte delle tolleranti genti calabresi, hanno mantenuto vive l’idioma d’origine, le tradizioni, i costumi ed una profonda religiosità. Alcune di queste località, favorite dall’asprezza orografica del territorio di insediamento nell’Alto Jonio Cosentino ed i particolare, le comunità di Plataci, di Castroregio e di Farneta (frazione di Castroregio), hanno potuto mantenere intatti riti, usanze, tradizioni e costumi fino ad ora.
Il borgo di Plataci, detto anche “il paese delle fontane”, ha potuto adattare nei secoli la conformazione urbanistica ai canoni arbëresh, in cui viene esaltata la policentricirà del tessuto urbano. Con la piazza comune, vero centro del borgo ed una struttura urbana fatta ad anfiteatro che si affaccia al litorale ed è contornato da una folta e verdissima vegetazione che ingentilisce l’asprezza delle inerpicanti montagne.
Anche Castroregio, posto all’interno del versante orientale del massiccio del Pollino, risente della forte connotazione arbëresh della sua gente fatta di un’identità albanese nella lingua, negli usi sociali, nei costumi delle cerimonie nuziali e nei paramenti dei riti religiosi greco-ortodossi. Nei pressi del paese si trova il Bosco Foresta in cui sorge una cappella bizantina dedicata alla Madonna della Neve.
Uno degli eventi più importanti per la cultura arbëresh è certamente il matrimonio, in quanto ha sempre rappresentato un punto di forza di difesa, quale mezzo per tramandare i principi, la mentalità e più in generale la cultura arbëresh, alle future generazioni. Un evento, al quale abbiamo assistito, che vedeva come protagonisti i giovani Rosalba e Maurizio, in cui costumi e melodie scandiscono e colorano il rito, in un complesso miscuglio fatto di gesti antichi di grande suggestione connotati da una profonda religiosità. Il rito è un inno alla gioia ed alla fierezza della cultura arbëresh. Già dall’arrivo dello sposo dinanzi alla casa della sposa è tutto un danzare al ritmo di zampogne e tamburelli, con il portabandiera che tiene alto il vessillo con i simboli della civiltà arbëresh, accompagnato dalle donne vestite nei tipici e pregiati abiti, tutto un ricamo di fili d’oro e pizzi: sulle gonne le stelle dorate, simbolo della Madonna di Costantinopoli, che protesse durante la traversata in mare i primi coloni albanesi che avvenne nella seconda meta del 1400. Il festoso corteo è accompagnato dai canti delle donne, dai balli tradizionali, interrotti solo dagli spari di fucile che annunciano lo sposo. Il rito religioso è celebrato in rito greco ortodosso, con un cerimoniale di momenti altamente simbolici e rappresentativi
in una successione di fasi religiose tendenti ad affermare l’unicità e l’esclusività dell’unione in corso di celebrazione. Toccante il momento in cui il sacerdote incrocia le coroncine fiorite sulla testa degli sposi a significare la grazia speciale che la coppia riceve dallo Spirito santo per fondare una nuova famiglia. Ed anche quando i due bevono il vino nello stesso bicchiere, che viene poi rotto, quale simbolo della fedeltà tra i coniugi, totale ed esclusiva.
Quindi, gli sposi preceduti dal sacerdote effettuano tre giri intorno all’altare, seguiti a loro volta dai testimoni che hanno il compito di reggere le corone in testa agli sposi. Alla fine del terzo giro, il sacerdote toglie le corone dal capo degli sposi e gliele fa baciare. Di seguito un’ultima preghiera e la benedizione sugli sposi che stanno a capo chino. Poi ha luogo la conclusione del rito con l’abbraccio degli sposi.
La festa del giorno del matrimonio continua fino a notte inoltrata e quando gli invitati hanno fatto ritorno a casa e dappertutto domina il silenzio, gli amici organizzano la serenata agli sposi: i vjershé, sotto la finestra della camera da letto, si susseguono gioiosi ed ironici, fino a quando gli sposi felici, ma stanchi per la giornata intensa e desiderosi di una più tranquilla intimità, non calano dalla finestra con un cordoncino una cesta colma di dolci, vino e salame.
Tradizioni, costumi e riti che, lungi da essere considerati solo momenti di folklore, rappresentano l’intima identità e fierezza dei discendenti del Popolo delle Aquile che, da questi aspri monti del Pollino Alto Jonico aspettano solo di spiccare il volo verso un futuro fatto di salvaguardia e mantenimento delle loro identità ma perseguendo il progresso economico legato anche ad un flusso turistico che rispetti e apprezzi quanto di unico e prezioso queste genti sanno offrire.
www.comune.plataci.cs.it
www.comune.castroregio.cs.it
www.galaltojonio.it
(i.c.)